2010/06/05

Servizi in pugno con il cellulare, entrerà tutto?

Una biblioteca portatile, digitale e consultabile ovunque basta avere con sé il cellulare. Se internet in Sud Africa non riesce ad avere una larga diffusione per limiti infrastrutturali è il cellulare ad offrire servizi e legami.
I telefonini sono divenuti una porta d'accesso per milioni di persone a una serie di servizi che diffondono nuove abitudini e connettono persone tra loro.
CellBook ad esempio permette di scaricare sul proprio telefonino libri digitali. Per leggerli dal display è sufficiente un sms e sottoscrivere un abbonamento mensile. Come già capitato in passato, il lancio di un nuovo strumento editoriale ha visto la Bibbia tra i titoli maggiormente richiesti, ma l'ideatore del software ha stretto accordi con i maggiori editori internazionali.
Smanettando sulla tastiera del proprio cellulare i sudafricani possono non solo leggere riviste internazionali, ma anche connettersi a diversi social network dal più noto facebook a MIXit nato espressamente per telefonini con funzioni di chat e rete sociale.
MIXit offre a chi lo usa, spesso ragazzi, di scambiare opionioni, di darsi appuntamenti e di tenersi aggiornati sulla vita sociale dei loro amici. Allo stesso tempo lo strumento è sfruttato per diffondere servizi di mobile health. Si entra in chat dal telefonino e si richiedono informazioni di carattere medico a personale specializzato. Una sorta di formazione a distanza che si aggiunge all'altro progetto sanitario che utilizza il network di telefonia mobile. Si tratta di Cell-life uno spin off dell'Università di Cape Town che offre il servizio di assistenza medica aperta 24 h al giorno. Si invia un sms e si ricevono consulenze al telefono dal Servizio sanitario nazionale.
Sui display dei cellulari oltre ad apparire messaggi su come e quando prendere i farmaci antiretrovirali, possono essere gestiti i conti correnti. Anche le banche infatti hanno trovato nei cellulari un alleato per diffondere i loro servizi proponendo ad esempio forme di microcredito in villaggi e zone agricole dove non esistono filiali bancarie.
Wizzit Bank, questo il nome di una delle società che offre servizi bancari gestibili dal cellulare, si è dotata di una piattaforma digitale e di una rete di agenti che vanno sul territorio seguendo le persone che hanno richiesto un finanziamento. Sono spesso le donne che gestendo bar e banchi di frutta richiedono prestiti, stipulano assicurazioni e trasferiscono piccole somme di denaro attraverso il cellulare.
Grazie al fatto che 8 sudafricani su 10 ne hanno uno, queste iniziative sono esempi di quanto nuove soluzioni proposte attraverso i cellulari possano combattere l'isolamento e la scarsa informazione. D'altra parte non bisogna aspettarsi che la rete di telefonia mobile sostituisca o sia in grado di garantire la qualità e la necessità di strutture presenti sul territorio. Queste rimangono necessarie per uno sviluppo equilibrato, diffuso e attendono ancore di essere capillari. Non basterà essere connessi, bisognerà anche poter accedere ai servizi dalla propria comunità di persone.
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2010/05/30

Mama Africa

Se scriviamo del SudAfrica dobbiamo necessariamente scrivere Miriam Makeba, artista, cantante e attivista, simbolo di orgoglio e fierezza. Di seguito proveremo a ripercorre alcuni momenti della sua vita, con la consapevolezza di fare un’estrema sintesi. Miriam Makeba, poi conosciuta come Mama Africa, nacque a Johannesburg; sua madre era una sangoma di etnia swazi e suo padre era uno Xhosa. Iniziò a cantare a livello professionale negli anni cinquanta, con il gruppo Manhattan Brothers. Negli anni successi ebbe modo di sviluppare e accrescere il proprio talento musicale per poi viaggiare negli Stati Uniti e Europa incontrando artisti quali Harry Belafonte.

All’inizio degli anni Sessanta testimoniò l’oppressione del regime dell’apartheid nel documentario “Come Back Africa”. La risposta del regime razzista bianco fu di bandirla dalla sua terra, considerandola elemento pericoloso e rivoluzionario. Mama Africa tornò a casa solo trenta anni dopo. Negli anni dell’esilio si stabilì negli Stati Uniti dove si sposa con Stokely Carmichael, attivista delle Black Panthers, scrive la famosissima “Pata Pata”, che semplicemente parla della voglia di danzare ed essere felici. Tuttavia le tensioni razziali, le rivendicazioni di giustizia sociale che prendono corpo in quel periodo negli Stati Uniti e l’impegno di Miriam Makeba per i diritti civili, la costringono ad un nuovo esilio. Questa volta sono le case discografiche ad imporlo cancellando i contratti e dunque la possibilità di rimanere stabilmente in quel paese.

Ritorna in Africa, si stabilisce in Guinea dove viene accolta a braccia aperte. Il governo della Guinea la supporta e come delegata alle Nazioni Unite denuncia ancora una volta al mondo intero i mali dell’apartheid. Nel 1990, caduto il regime, ritorna in SudAfrica e pochi anni dopo da vita a progetti per le donne sudafricane (in questa foto con Winnie Mandela nel 1991).

Nel 1991 inizia un tour che la vedrà cantare in tutto il mondo, forte di una storia musicale che può annoverare più di 30 album. La sua voce chiara e morbida, le sue parole forti di protesta e rivendicazione hanno attraversato per decenni i continenti sempre al fianco di chi è oppresso e sfruttato.
Sebbene abbia sempre guardato se stessa come una cantante e non come un politico, Miriam Makeba ha ricevuto diversi riconoscimenti internazionali per il suo impegno a fianco dell’umanità. Nei suoi tour musicali ha incontrato artisti del calibro di Nina Simone, Hugh Masekela, Dizzy Gillespie, Paul Simon.


Mama Africa, Miriam Makeba ci ha lasciato il 9 novembre del 2008 in Italia, a Castel Volturno poco dopo aver cantato la sua canzone più famosa Pata Pata in un concerto contro lo sfruttamento imposto alla popolazione e al paese dalle mafie.
A marzo del 2010 si è tenuto un concerto di ringraziamento in suo onore per tutto quello che con la sua straordinaria vita ci ha insegnato e continuerà a trasmetterci.
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Guardare ad un passato difficile per cambiare il presente

Il regime razzista dell’apartheid ha lasciato in SudAfrica pesanti eredità da affrontare. La questione delle terre, della distribuzione e della proprietà, è storia di quel passato e anche parte di questo presente.

Da quando nel lontano 1652 i primi europei arrivarono, le popolazioni autoctone sudafricane furono sistematicamente depredate delle proprie terre. L’appropriazione da parte dei colonizzatori avvenne con la forza militare, attraverso pretestuosi ricorsi a tribunali collusi o più semplicemente con recinzioni e violenze che decretavano di fatto l’avvenuto possesso della proprietà. Nel corso del 1800 la scoperta di importanti giacimenti di oro e diamanti, e la corsa che ne seguì, portò ad intensificare il saccheggio delle terre delle popolazione africane. Anche in questo caso i governi dei colonizzatori bianchi approntarono un sistema giuridico-fiscale tale da forzare molte comunità agricole native a vendere o cedere i propri terreni.

Nel 1913 l’espropriazione su base razziale delle terre divenne legge dello stato con il “Native Land Act” che limitava la proprietà della terra delle popolazione native. Negli anni che seguirono intere comunità furono deportate o costrette con la forza a lasciare le proprie terre. Qui si insediarono e impiantarono le loro fattorie i coloni bianchi.

Nel 1994, dopo l’abolizione formale dell’apartheid, fu varato il “Restitution of Land Act” per restituire le proprietà alle comunità cui erano state sottratte dopo il 1913. Lungo questa strada verso la dignità e la giustizia, non sono mancate resistenze e difficoltà. In particolare sono sorte dispute sul giusto prezzo da pagare come compensazione per le terre da restituire. E ciò nonostante, in nome dello spirito di riconciliazione posto a guida del processo di costituzione del nuovo stato, si sia voluto evitare di far ricorso all’espropriazione delle terre.

I negoziati sono andati avanti diversi anni e al 2008 i governi dell’African National Congress hanno restituito le terre a più di 870.000 persone. 1 milione di ettari è così tornato ai discendenti dei primi proprietari per circa 400 milioni di dollari di compensazioni.

Oggi il problema della terra, dell’equità dei diritti e dell’emancipazione sociale ed economica della popolazione, ancora si scontra con l’eredità dell’infame passato. Basti pensare che la popolazione nera, maggioranza nel paese, detiene la proprietà di solo il 16% della terra agricola. Obiettivo è arrivare al 30% entro il 2014.


Una delle maggiori sfide è trasferire le necessarie competenze tecniche ai “nuovi” coltivatori e allevatori. E se i programmi governativi del Department of Land Affair e della Commission on Restitution of Land Rights, prevedono sostegni all’avvio e alla conduzione di attività agricole o di allevamento per i figli o nipoti dei primi proprietari, molti di coloro che hanno diritto alla restituzione svolgono ora lavori non agricoli. Perciò vi è chi ha preferito avere compensazioni finanziarie piuttosto che rientrare in possesso della terra.

Per Mosibudi Mongena presidente del partito Azapo, erede del Movimento di Coscienza Nera, organizzazione fondata negli ani ’70 da Stephen Biko, la restituzione e la distribuzione delle terre sono aspetti centrali per la trasformazione della società sudafricana ancora segnata da enormi disuguaglianze. Per decretare la morte dell’apartheid occorre un cambiamento profondo del sistema economico che divide, anche fisicamente la popolazione in élite bianche/nere ricche e maggioranze povere.

La questione delle terre è dunque oggi per il SudAfrica e per l’African National Congress che da 15 anni governa interrottamente, una sfida la cui posta è la giustizia sociale e la fiducia nella capacità del popolo di costruire il futuro da uomini liberi in un paese liberato.

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2009/12/08

Una poesia di Keorapetse Kgositsile

Keorapetse Kgositsile, è poeta sudafricano che nel 1961 dovette lasciare il paese per l'esilio. Qui la sua poesia si è intrecciata ai più vitali movimenti artistici del tempo.

UNA NUOVA ERA

Le domande che ci siamo sempre poste
Ci assalgono come amanti impazienti
Di notte quando non possiamo intorpidirle
Neanche con spiriti usciti da una bottiglia o dalla terra

Quando nelle nostre teste si innalzano spesse nebbie di disperazione
Quando la lotta diviene la bevanda inebriante che ne consegue
O quando il calore tra le gambe di una donna consenziente
Succhia nelle sue profondità la nostra avida fretta
Ricordati, compagno comandante dal facile sorriso
Che questo è dolore e declino dello scopo prefisso

Ricordati durante il rituale di bastoni, botte e spari
Che i segugi del Mostro Vorster hanno scritto
Soweto sul ventre del mio suolo
Con il sangue indelebile non sono più di una morte prematura

Il passato è altrettanto tempestoso
Chiedi a qualunque viaggiatore che ricordi
La nostra missione oggi è di domarlo
Con la libertà martellata sono all’acciaio nei nostri occhi

Ricordati Poeta
Quando alcuni tuoi colleghi si riuniscono
Non parlano delle glorie del passato
O arrotolano la loro lingua
In banalità o deliranti parole idealiste
Sul cambiamento per caso o sulla bellezza
O sulla perversione che tu chiami amore
Che altro non è
Se non casuale accoppiamento di parassiti
I giovani il cui sguardo non riflette né giovinezza né paura
Gli operai il cui canto di pace
Ora scava le tombe per i mostri fascisti dalle croci dorate
Con precisione ed un intento da artisti
Sanno ora che il passato è tempestoso
Dobbiamo domarlo ora
Chiedi agli sguardi pieni di libertà

Dì a coloro che hanno orecchi per intendere, dì loro
Dì loro che il mio popolo è un giardino
Sorto dalle radici rancide del rapimento e delle rovine
Dì loro che alla stagione senza piogge
Le foglie seccheranno e cadranno fecondando il suolo
I cui fiori nuovi neri, verdi e gialli
Sono il canto di fede di un operaio
Alla terra che ti ha fatto nascere.

Keorapetse Kgositsile


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2009/08/11

L’innovazione fa un sacco bene all’ambiente

Mentre in Italia si rimanda l’addio ai sacchetti di plastica, c’è chi in SudAfrica li trasforma in cappelli, borse e altri accessori per venderli in tutto il mondo. L’iniziativa parte da un gruppo di donne della comunità di Obanjeni nel KwaZulu Natal che ha dato vita all'Afr-Eco Upliftment Project con l’obiettivo di tutelare l’ambiente e creare posti di lavoro.

I sacchetti oltre i 30 micron(*) anziché diventare rifiuti ed essere dispersi nell’ambiente sono lavorati, tagliati in strisce e abilmente cuciti. Il risultato sono borse, cappelli, cestini, accessori e oggetti multicolori di notevole fattura che uniscono intelligenza creativa e abilità artigianale. Ogni mese queste donne, madri di famiglie e giovani ragazze, trasformano 30 mila sacchetti in prodotti che vengono poi venduti sul mercato locale e all’estero.

Sul mercato locale il prezzo varia tra le 20 e le 40 rand (tra 1,50 e 3,50 €) e i profitti costituisconola principale fonte di reddito per le famiglie delle produttrici che contano sui soldi ricavati dalla venditi di questi prodotti artigianali anche per mandare a scuola i loro figli. Inoltre l’Afr-Eco Upliftment Project implica la condivisione dei profitti derivanti dalle vendite con la comunità e parte dei guadagni sono reinvestiti all’interno della comunità di Obanjeni, sostenendo così economicamente l’alfabetizzazione per adulti.

Si tratta insomma di una piccola esperienza ai piedi del mondo che da un problema di natura ecologica ne ha tratto un’occasione di innovazione e presa di coscienza per una parte della popolazione.

A livello mondiale sono diversi i paesi dove i sacchetti leggeri stati messi al bando (Bangladesh, Rwanda, Botswana, Kenya, Tanzania, Singapore, Canada, Irlanda ed altri) per i danni che causano all’ambiente. Trasportati dai venti e dalle correnti finiscono per decomporsi e contaminare il suolo e le acque sconvolgendo gli equilibri ambientali; mentre l’attuale sistema produttivo basato sullo sfruttamento indiscriminato dello risorse rende il costo del riciclaggio ben superiore al costo di produzione. Tanto che oggi nel mondo solo l’1% dei sacchetti di plastica viene riciclato.

A rendere possibile l’iniziativa delle donne della comunità di Obanjeni oltre alla buona volontà è anche la legislazione sudafricana che ha messo fuori legge i sacchetti di plastica più leggeri (sotto i 30 micron) chiamati ironicamente “national flower” per la frequenza con cui si ritrovano sui rami degli alberi. Secondo le leggi del Sud Africa chi è sorpreso a commercializzare o distribuire i sacchetti incriminati rischia pene molto severe persino il carcere.

Così in attesa che diventi obbligatorio abbandonare tutti i tipi di sacchetti di plastica -sia quelli leggeri sotto i 30 micron che quelli più resistenti riciclati dalle donne dell’Afr-Eco Upliftment Project- e magari tornare a utilizzare borse realizzate con materiale naturali come il cotone, la tela, il sisal e la rafia(**), sono stati creati posti di lavoro, ripulite le strade e cambiate le vite di molte donne che guardano al futuro con maggiore speranza.

(*) 1 micron= un millesimo di millimetro
(**) in Italia prima della proliferazione dell’industria petrolchimica era largamente diffusa e coltivata la pianta della canapa dalla quale si ricavano fibre di un tessuto molto resistente.
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