2009/05/09

Bang Bang Club: i paparazzi di guerra tornano a Khumalo Street

A quindici anni dalla morte di uno dei suoi componenti, uno dei modi più significativi per rendere omaggio al gruppo di fotografi è, forse, la realizzazione del film The Bang Bang Club. Non è che questa versione cinematografica sia esaustiva: tutt'altro, ma almeno è tratta dal libro che otto anni fa,i due superstiti del gruppo, Marinovich e Silva, scrissero sulle loro esperienze e sull'imporantanza del fotogiornalismo indipendente.

I loro scatti hanno sconvolto il mondo e reso pubbliche le violenze nel Sud Africa della transizione dal rilascio di mandela (febbraio 1990) alla sua elezione a presidente (aprile 1994).
Il Paese in pratica non aveva un governo effettivo e assisteva a una guerra civile a bassa intensità alimentata dalle tensioni interetniche e concentrata nelle città nei dintorni di Johannesburg. In mezzo a questi disordini e tensioni i 4 fotografi immortalarono la brutalità inflitta ai neri sudafricani dalla polizia, dalle forze armate e da quelle di peacekeeping. Nei loro rullini rimasero impressi anche gli scontri sanguinosi tra i sostenitori del ANC e quelli del Inkatha Freedom Party portavoce delle aspirazioni del popolo zulu.

Testimoni di guerra
Gli obiettivi di Ken Oosterbroek, Kevin Carter, Greg Marinovich e Jaoa Silva (questi i nomi dei fotografi) erano puntati in territori pericolosi e riuscirono a documentare gli scontri sanguinosi durante il periodo della fine dell'apartheid.

La loro abilità e coraggio era tale da riuscire a raccontare le tragedie con una certa grazia che ce le ha rese quasi "piacevoli". Chi guarda le immagini sa che quel dolore, quel sangue non è una finzione e per quelle violanze sente disgusto e tristezza fino alle lacrime. Eppure la narrazione che le foto fanno di quelle disgrazie possono "anestetizzare" fino a farle percepire come altro, come lontano dall'esperienza reale.

Fotografi fino alla morte
Questa vale per chi le guarda ma anche per chi scatta le foto di tali brutalità, perché per aggiustare la lente, scegliere la giusta angolazione, decidere velocità e tempi di esposizione, mentre davanti a sé ci sono uomini che bruciano, donne che muoino e bambini piegati dalla fame si deve schermare sé stessi e forse sapere che ogni singolo scatto segnerà il proprio destino.
Infatti durante gli scontri nella città di Thokoza, Ken Oosterbroek viene colpito a morte in uno scontro a fuoco, Marinovich invece ferito negli stessi scontri. Tre mesi dopo questo episodio Kevin Carter si suicida.

Dei loro interrogativi etici e delle relazioni tra i quattro fotografi narrano sia il film che il libro, ma quello che colpisce di più è la loro determinazione nel documentare le atrocità dell'uomo sull'uomo come a dire che queste ferite dell'umanità devono essere mostrate per assicurare che più persone possibili vedano, siano a conoscenze e che nessuno ignori o dimentichi.

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