2009/06/19

I semi della discordia

Dal 1997, anno in cui fu varato il “Genetically Modified Organism Act”, piccoli coltivatori o grandi latifondisti sudafricani possono ricorrere all’uso di semi geneticamente modificati.
È infatti poco noto che il Sud Africa è stato il primo paese del continente ad impiantare semi GM/GE (Genetically Modified o Genetically Engineered), ed è l’unico paese ad oggi della Comunità per lo Sviluppo dell’Africa Australe (SADC, Southern African Development Community) che coltiva sementi GM.

Un ruolo cruciale nella diffusione delle sementi GM lo hanno avuto le grandi multinazionali* produttrici di sementi che attraverso studi e ricerche hanno fatto passare l’idea che i campi coltivati con semi GM diano un raccolto più fruttuoso.

La produzione di OGM

La produzione di organismi geneticamente modificati in SudAfrica è cominciata nel 1998 con una varietà di mais destinata al consumo alimentare animale (yellow-grained GE corns). Poi nel 2001, con la complicità del governo sudafricano che ha approvato una legislazione favorevole, la produzione è stata estesa alla varietà di mais destinato al consumo umano (white-grained GE corns, l'ingrediente base del mealie pap, il piatto più diffuso). In particolare il seme del mais è stato modificato con un gene di un batterio (BT gene, Bacillus thuringiensis gene) che producendo tossine darebbe alla pianta una sorta di immunità dagli attacchi di alcuni parassiti. In altre colture il patrimonio genetico è invece modificato rendendole immuni ai danni provocati dall’utilizzo dei prodotti chimici come gli erbicidi.
Al 2004 la produzione di mais geneticamente modificato è arrivata al 10%, grazie anche alle politiche del governo che ha distribuito gratuitamente sementi ai piccoli coltivatori nella regione di KwaZulu-Natal, mentre Monsanto faceva lo stesso nella regione di Eastern Cape.
Oggi in SudAfrica si coltivano patate, cotone, mais e soia usando semi GM e accanto ai benefici che una parte di contadini sostiene di trarne, c’è un’altra parte che solleva dubbi. In particolare coltivatori e scienziati avanzano domande sugli effetti del cibo GM nel lungo periodo sull’organismo umano e chiedono da parte del governo scelte ragionevoli e consapevoli, libere dai condizionamenti dei grandi interessi economici che muovono il mercato.

Effetti sulle comunità agricole

La via intrapresa dal Sud Africa sembrerebbe quella di un’agricoltura d’avanguardia fondata sulla sperimentazione dei semi Gm, ma la generosa fiducia nelle biotecnologie del governo e la strategica promozione commerciale delle multinazionali in realtà per i piccoli coltivatori si è rivelata una trappola. Infatti gli agricoltori che usano semi GM devono firmare un contratto che li obbliga a non conservare semi per l’anno successivo: devono in sostanza comprare ogni anno dalle multinazionali (che ne detengono i diritti e le proprietà intellettuali) le sementi per il loro raccolto. Considerando che per circa il 90% dei piccoli coltivatori i semi conservati in una stagione sono una ricchezza per la successiva, si capisce quali devastanti conseguenze sul piano economico e sociale potrà avere l’impiego prolungato di queste sementi. Proprio sulla mancata possibilità per il coltivatore di conservare i semi, lo stesso stesso Dipartimento dell’Agricoltura ammette che “il sistema dei diritti della proprietà intellettuale (…) ha fallito nell’incrementare la produttività tra coloro che hanno beneficiato della riforma agraria”.

Un confronto con l’Italia
Alla perdita da parte dei piccoli coltivatori del controllo dei semi e quindi della produzione si somma anche l’obbligo per i contadini di ricorrere nuovamente alle multinazionali per comprare pesticidi e fertilizzanti abbinati agli OGM ritrovandosi indebitati e rischiando di perdere la propria terra. Un altro fattore da tenere presente è il rischio perdita di biodiversità dovuto ai pollini della piante GM che possono impollinare specie non trattate. In Italia si è voluto chiudere un occhio vietando la coltivazione di OGM in campo aperto ma rendendolo legale in serra o laboratorio.
Le ricadute sono tanto per il produttore quanto per il consumatore poiché la legislazione del SudAfrica sulla rintracciabilità del prodotto non obbliga il produttore o il distributore ad indicare sull’etichetta l’utilizzo di OGM impedendo di fatto la libertà di scegliere in sicurezza tra un prodotto geneticamente modificato piuttosto che uno non geneticamente modificato. In Italia la cui produzione agricola ha “eccellenze” da difendere, sui banchi dei supermercati si trovano anche prodotti con derivati da OGM la cui presenza deve essere indicata per legge sull’ etichetta.

OGM un dibattito aperto
Sugli OGM il dibattito è ancora aperto. Tuttavia se una parte della comunità scientifica non solleva particolare dubbi sull’affidabilità, un’altra parte evidenzia come le manipolazioni genetiche siano imprevedibili a lungo termine. Per questo ritengono che prima di imboccare una strada che potrebbe essere senza via di uscita sia necessario discutere e individuare metodologie di laboratorio in grado di dare risultati più affidabili per la tutela della salute dell’uomo. Aldilà delle ricerche scientifiche un interrogativo s’impone: è lecito consentire a poche multinazionali private di controllare la produzione dei semi sostituendosi di fatto alla natura?


(*)Le multinazionali del mercato agricolo MONSANTO, PIONEER, DOW, BAYER, SYNGENTA, BASF controllano il 90% della produzione di sementi GM

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