2009/07/03

Lavanderia sudafricana

Lo sanno tutti. Lo sanno tutti che Robert von Palace Kolbatschenko, miliardario finanziere sudafricano, in realtà è Vito Roberto Palazzolo nato a Terrasini (Palermo) nel 1947 e condannato a 9 anni in Italia per aver riciclato per anni i denari sporchi della mafia siciliana.
“Don” Vito Palazzolo, alias Robert Von Palace “principe” di origine russa, dal 1987 vive circondato da guardie del corpo nella lussuosa fattoria-azienda di Franschoek nella provincia di Città del Capo. Da qui controlla un impero economico e finanziario che va oltre i confini del SudAfrica.

Nel marzo 2009 la Corte di Cassazione di Palermo ha confermato per Vito Roberto Palazzolo la condanna a 9 anni di reclusione per associazione mafiosa. In particolare Palazzolo è stato riconosciuto colpevole di riciclaggio di denaro proveniente da traffici illeciti.

Dal 1998 l’Italia chiede al SudAfrica l’estradizione in vista del processo. Prima ufficialmente rifiutata perché la sentenza non era ancora definitiva, ora con la motivazione che nel paese non esiste il reato di associazione mafiosa. Per provare a capire il perché di questo rifiuto occorre ripercorrere brevemente la vicenda e i viaggi di uno dei più influenti “uomini d’affari” del SudAfrica.


Vito Palazzolo, scappato dalla Svizzera - dove stava scontando una condanna - arriva nel 1987 in SudAfrica e diventa uno dei maggiori finanziatori del National Party di De Klerk.
In quegli anni il paese, sotto l'apartheid, accoglieva senza fare troppe domande ingenti capitali dall’estero o da società off-shore che investivano spesso in casinò e hotel di lusso, soprattutto nelle terre Bantu.
La mancanza di vigilanza permetteva a qualsiasi straniero di fare entrare ed uscire denaro dal paese senza doverne rendere conto a nessuno. Vito Roberto Palazzolo, sfruttando le carenze legislative sudafricane ha potuto così applicare un meccanismo di “lavaggio” dei proventi illeciti simile a quello scoperto con le indagini denominate “Pizza Connection” negli anni ’80.

Grazie ai soldi reinvestiti “Don” Vito diviene ricchissimo ed oltre alla cittadinanza sudafricana ottiene l’amicizia di molti potenti che lo proteggono in tutti i rami e a tutti i livelli dell’amministrazione. Possiede un’importante compagnia di acque minerali, miniere di diamanti in SudAfrica e in Angola, controlla un centro per il taglio delle pietre preziose a Città del Capo ed è sospettato di contrabbandare armi oltre che gli stessi diamanti. Ma non solo. Gli “interessi” si estendono all’uranio della Namibia passando per società off-shore con sede nelle British Virgin Islands.


Come è possibile che con una condanna definitiva a 9 anni di reclusione Robert von Palace - Vito Palazzolo non solo gira liberamente ma addirittura ha fatto e fa ingenti affari muovendo enormi capitali tra SudAfrica, Angola e Namibia?

Avranno certamente contato le amicizie ad altissimo livello, ma anche le carenze della legislazione sudafricana in materia di riciclaggio hanno la loro responsabilità. Solo nel 1998 con il Prevention of Organized Crime Act e l’istituzione del Financial Intelligence Centre del 2001, il paese si è infatti dotato di una legislazione e di alcuni strumenti per prevenire e combattere il riciclaggio del denaro sporco.

Attualmente le leggi obbligano a maggiori controlli banche, imprese, compagnie di assicurazioni, uffici di cambio, casinò e concessionari di traveller’s cheques. L'identificazione del cliente, i requisiti di registrazione, i controlli interni sono alcuni degli adempimenti che gli operatori economici e finanziari devono seguire per rimanere nella legalità. Secondo il FATF la Financial Action Task Force dell'Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) dal 2003, anno in cui è entrato a farne parte, il SudAfrica ha fatto passi in avanti per assicurare la trasparenza delle operazioni. A prova di questo impegno ci sarebbe il costante aumento delle proprietà confiscate.

Non è però il caso di Robert Von Palace Kolbatschenko, che il 1 luglio 2009 alla stampa dice che per lui rappresenta una vergogna essere accusato di avere gestito i patrimoni della mafia. Forse può essere un vanto per i pentiti – dice - ma per lui no.
Di certo ora c’è una sentenza definitiva che lo individua come prodotto di quel made in italy costantemente rimosso dai nostri discorsi pubblici che accanto all’arte, la moda e il cibo ci rende famosi nel mondo.

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